venerdì 20 luglio 2012

AL DI LÀ DEL MURO

ALEC CORDOLCINI, “GS” GIUGNO 2010:
Se fosse nato nella Germania Ovest Peter Ducke, stella del Carl Zeiss, avrebbe conteso il posto a Gerd Müller e sarebbe diventato Campione del Mondo. Lo afferma Georg Buschner, Commissario Tecnico della miglior DDR di sempre.


Quando cadde il Muro, Georg Buschner cominciò a viaggiare. Isole Canarie, Egitto, Sudamerica. Diceva di sentirsi come un topo uscito dalla gabbia. Niente più Stasi, né Trabant, né tantomeno Honecker. Una nuova vita, senza però rinnegare la precedente. Del resto non si poteva certo lamentare. Nella DDR era una delle persone più stimate dalla gente. Pochi potevano vantarsi, come lui, di aver contribuito a migliorare l’immagine del proprio Paese all’estero.
Buschner lo aveva fatto guidando la Nazionale di calcio della Germania Est, condotta a un bronzo olimpico nel 1972 a Monaco di Baviera e ad un oro quattro anni dopo a Montreal. Ma soprattutto era sua la Germania Est che sconfisse i nemici dell’Ovest al Mondiale del 1974, nella partita della famosa rete di Jürgen Sparwasser.
Eppure anche Buschner, guardandosi alle spalle, aveva dei rimpianti. Non riguardo a sé, bensì ad un giocatore che aveva allenato. Il migliore che avesse mai visto, a suo dire. Si chiamava Peter Ducke, e Buschner amava ricordarlo così: «Se fosse nato nella Germania Ovest, Ducke avrebbe conteso il posto da titolare in Nazionale a gente del calibro di Uwe Seeler e Gerd Müller, e sarebbe diventato Campione del Mondo. Molti tecnici hanno avuto la fortuna di poter allenare autentici fuoriclasse come Netzer e Zidane. lo sono tra questi, perché a Jena avevo Peter Ducke».
Artista del pallone oscurato dalla cortina di ferro, Ducke era uno dei giocatori meno tedeschi, calcisticamente parlando, visti nella storia della Oberliga, il campionato della DDR. Ad un Paese in cui la cultura sportiva poggiava sui sacri dogmi dell’atletismo (spesso spinto chimicamente anche oltre i limiti) e della prestanza fisica, Ducke rispondeva con uno stile di gioco molto fantasioso, fatto di dribbling, finte e cambi di direzione, e sostenuto da un bagaglio tecnico di prim’ordine.
Nato a Bensen, villaggio nella zona dei Sudeti, il 14 ottobre 1941, Ducke non ha ancora diciotto anni quando passa dalla squadretta locale del Motor Schónenbeck all’Sc Motor Jena (rinominato in seguito Fc Carl Zeiss) diventando “dilettante di stato”, status giuridico previsto dalla legislazione della DDR che vietava il professionismo ed obbligava i giocatori a possedere, almeno pro forma, un impiego (nel caso del giovane Peter viene scelto quello di apprendista saldatore).
Se il talento è innato, il fisico di Ducke viene forgiato attraverso allenamenti durissimi, con esercizi mutuati direttamente dal rugby e partite giocate con palloni molto più pesanti di quelli ufficiali per rinforzare i muscoli dei piedi.
L’avventura di Ducke con il Carl Zeiss Jena, allenato fino al 1970 da Buschner, inizia l’8 maggio 1960 contro l’Aufbau di Magdeburgo (3-5 il risultato) e si conclude diciassette anni dopo con tre campionati (1963, 1968, 1970), tre coppe nazionali (1960, 1972, 1974), un titolo di capocannoniere (1963) ed uno di giocatore dell’anno (1971) vinti, oltre che un bottino personale di 353 presenze e 153 reti, buona parte delle quali realizzate nella prima parte degli anni sessanta, quando il fisico non era ancora minato dai postumi di un grave infortunio alla gamba che lo costringerà ad abbandonare progressivamente il posto al centro dell’attacco per arretrare il suo raggio d’azione sulla trequarti.
Ducke incanta in patria ed assaggia piccole porzioni di Europa attraverso le coppe, alle quali il Carl Zeiss Jena riesce a qualificarsi con buona regolarità; Madrid (sponda Atlético), Belgrado, Amsterdam, Marsiglia, Lisbona, Leeds ed anche una puntata in Italia nella stagione 1969/70 per affrontare (ed affondare, 2-0 e 1-0), nel secondo turno di Coppa delle Fiere, il Cagliari di Riva e Scopigno, poi vincitore dello scudetto.
Il 5 marzo 1970, in una Jena coperta dalla neve, il Cari Zeiss sta conducendo 3-0 sull’Ajax di Cruijff con la terza rete che porta la firma del nostro: un risultato contro ogni pronostico, considerate anche le disastrose condizioni di un campo formato palude sul quale i giocatori olandesi si reggono a malapena in piedi. l tedeschi invece sembrano volare, finché a pochi minuti dalla fine è proprio Ducke a svelare involontariamente l’arcano con un’entrata da codice penale sul ginocchio destro di Wim Suurbier, provocandogli un taglio profondo dieci centimetri; dal parapiglia che ne scaturisce si scopre che alcuni giocatori del Cari Zeiss erano scesi in campo con scarpe chiodate non regolamentari.
Gli “Ajaci” chiedono la sospensione dell’incontro, ma il direttore di gara, l’italiano Francescon, decide pilatescamente di far giocare come se nulla fosse successo. L incontro termina 3-1. Dopo un infruttuoso esposto all’Uefa, ad Amsterdam l’Ajax vince 5-1, non prima però di aver tremato per quasi un’ora di gioco a causa di un’invenzione di Ducke che aveva portato in vantaggio i tedeschi. Il giorno dopo la stampa olandese, fino a quel momento profondamente ostile nei confronti del campione della  DDR, gli tributa i dovuti onori.
Agli inizi degli anni Settanta il Cari Zeiss Jena diventa uno dei principali fornitori della Nazionale della  DDR; Konrad Weise, Hans-Ulrich Grapenthin, Lothar Kurbjuweit ed, appunto, Peter Ducke, che all’epoca però è già uno dei veterani, avendo esordito nell’ottobre del 1960 contro la Finlandia. Nel 1972 Ducke vince con la  DDR la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Monaco disputando tutte le partite della manifestazione e realizzando un goal contro la Colombia.
Due anni dopo è nell’elenco dei convocati per il Mondiale in Germania Ovest. Sulla panchina siede Buschner, ma c’è il problema di una condizione fisica lontana dal top a causa di una serie di infortuni. Ducke scende in campo contro Cile, Olanda ed Argentina, ma non in quella che a posteriori definirà «la partita più importante della mia vita», ovvero l’incontro con la Germania Ovest. «Jürgen Sparwasser fece ciò che avevo sempre sognato, io tornai nella mia stanza di albergo e mi misi a piangere. Un’occasione per dimostrare al di fuori della Ddr il mio valore se ne era definitivamente andata».
Ducke giocherà ancora un anno in Nazionale, con la quale chiuderà con uno score di 67 presenze e 15 reti, e tre anni nel Carl Zeiss Jena, poi si dedicherà alle giovanili del club diventando in seguito insegnante di educazione fisica.
Dopo la caduta del Muro di Berlino e l’apertura degli archivi segreti della Stasi è emerso che Ducke, a dispetto di una squalifica di 10 giornate rimediata nel maggio del 1965 per aver gettato discredito sulla concezione socialista dello sport (in pratica aveva invitato l’arbitro, al termine di un finale di coppa vinta dal Magdeburgo sul Carl Zeiss, a portarsi a casa il trofeo dal momento che l’aveva vinto lui), era ben visto negli ambienti del Ministero per la Sicurezza di Stato, tanto da essere individuato come un elemento che grazie al proprio carisma poteva ricoprire un ruolo importante nell’impedire fughe nell’Europa Occidentale di qualche compagno di squadra.
Ducke fu quindi uno di famigerati “IM” (Inoffizielle Mitarbciter, ovvero collaboratori non ufficiali)? Gli archivi tacciono. Nel 2000 la classica votazione di fine millennio sul miglior giocatore tedesco di sempre ha visto Ducke classificarsi nono dietro a Fritz Szepan e davanti a Jürgen Klinsmann, ma soprattutto unico giocatore dell’ex  DDR entrare nella top ten. Il fenomeno di Jena non è stato dimenticato.

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